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Articolo firmato dall'Ambasciatore Li Ruiyu su Mare Cinese Meridionale pubblicato da Corriere della Sera
2016-07-18 22:25
 

L'uso dell'antico detto cinese «gli alberi desiderano la quiete ma il vento non si ferma» è piuttosto appropriato per descrivere la situazione odierna nella regione del Mar Cinese Meridionale. La pace e la stabilità della Regione sono di grande interesse per la Cina e quanto auspica la stragrande maggioranza dei Paesi rivieraschi. Tuttavia, l'arbitrato avviato delle Filippine sulla questione e il comportamento istigatorio di alcuni paesi extra-regionali hanno agitato il Mar Cinese Meridionale.

Il 12 luglio, il Tribunale Arbitrale, costituitosi su richiesta unilaterale delle Filippine, rende pubblica la propria decisione sulla questione. Tale arbitrato è tuttavia sin dall'inizio illegale e ineffettivo. In primo luogo, si contraviene agli accordi già raggiunti tra Cina e Filippine.Sin dal 1995, le due parti si sono espresse attraverso dichiarazioni e comunicati bilaterali per la soluzione negoziale, prescritta pure dalla Dichiarazione sulla condotta delle parti nel Mar cinese meridionale firmata nel 2002 da Cina e paesi ASEAN incluse le Filippine, la quale stabilisce chiaramente come le dispute territoriali debbano essere risolte in maniera pacifica tramite il ricorso a negoziati amichevoli. Addirittura, nel 2011 le Filippine hanno pubblicato insieme con la Cina la dichiarazione congiunta confermando la stessa soluzione negoziale. Secondo, si violano le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS). L'arbitrato riguarda nei fatti i temi della sovranità territoriale e della delimitazione delle acque territoriali.  Il tema territoriale rientra tra gli ambiti regolati dal diritto consuetudinario internazionale e non dalla UNCLOS. Quanto alla delimitazione delle acque teritoriali, nel 2006 la Cina, come una trentina di paesi, ne ha dichiarato in base alla UNCLOS un'eccezione facoltativa all'applicabilità della UNCLOS, escludendo procedure cogenti per la soluzione delle contese del genere.

E' deplorevole che il Tribunale Arbitrale, non tenendo conto del fatto che la Cina e le Filippine avessero già optato per il ricorso ai negoziati per risolvere le loro dispute, abbia forzato la propria giurisdizione processuale ed esecutiva, violando gravemente sia la UNCLOS che il diritto della Cina, come Stato sovrano e Paese aderente alla UNCLOS, di scegliere autonomamente le modalità per la soluzione delle dispute, facendo carta straccia delle dichiarazioni di eccezione. L'arbitrato ha negato nei fatti il diritto di disporre liberamente delle procedure di soluzione di cui godono gli Stati firmatari.É per questi motivi che la Cina non accetta l'arbitrato, non vi prende parte e non ne riconosce l'esito. E questo a tutela dell'autorità del diritto internazionale e della stessa integrità della UNCLOS.

Queste problematiche emergono dagli anni '70 del Novecento, quando alcuni altri Paesi, come le Filippine, violando la Carta delle Nazioni Unite e i principi fondamentali delle relazioni internazionali, hanno iniziato ad occupare illegalmente delle isole e scogliere dell'arcipelago del mar cinese meridionale. Invece, il governo cinese, prendendo in considerazione degli interessi complessivi della Regione, è stato il primo a proporre e sostenere una politica che «metta da parte le dispute e persegua lo sviluppo congiunto», sostenendo il ricorso a negoziati per risolvere le dispute. Queste sono politiche fondamentali cinesi per una soluzione della questione, oltre che una seria promessa. La decisione dell'arbitrato non cambierà la storia né la realtà del fatto: la sovranità dell'Arcipelago appartiene alla Cina , non influenzerà la volontà con la quale la Cina difenderà la propria sovranità e i propri diritti marittimi, né le suddette politiche. e posizione.

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